IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale n. 617 del 2010, proposto da: Alam Ragib, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Antonio Angelelli, con domicilio eletto presso l'avv. Marco l'azzini, in Trieste, viale XX Settembre, 30; Contro U.T.G. - Prefettura di Udine, Questura di Udine, Ministero dell'interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Trieste, piazza Dalmazia, 3; Per l'annullamento del provvedimento reso dalla Prefettura di Udine prot. PUD/L/N/2009/101231 in data 13 agosto 2010, con il quale veniva respinta la domanda volta ad ottenere l'emersione dal lavoro irregolare e la sanatoria della posizione di soggiorno ai sensi dell'art. 1-ter legge n. 102/2009, nonche' per l'annullamento di ogni altro atto, con particolare riferimento al provvedimento presupposto con cui la Questura di Udine ha negato il nulla osta alla regolarizzazione previa sospensione del medesimo provv. prefettizio di rigetto dell'istanza di regolarizzazione, nonche' di ogni atto anche non conosciuto dall'istante, con particolare riferimento agli atti presupposti adottati dalla Questura di Udine. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Udine e di Questura di Udine e di Ministero dell'interno; Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2011 il dott. Rita De Piero e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 1. - Il ricorrente - cittadino del Bangladesh - impugna il provvedimento di reiezione dell'istanza di emersione ex legge n. 102/2009, determinata dall'essere stato condannato dal Tribunale di Roma, in data 14 giugno 2006, con sentenza ex art. 444 c.p.p., per il reato (ostativo, a tenore della legge medesima) di cui agli artt. 624 e 625 c.p., essendosi «impossessato, al fine di trarne profitto, di alcuni prodotti per l'igiene (saponetta, schiuma da barba, crema per le mani) per un valore di € 25,00, all'interno dei magazzini UPIM». 1.1. - Il ricorso lamenta la violazione dell'art. 445, comma 1, c.p.p., in relazione all'art. 1-ter, comma 13, lett. c) della legge n. 102/2009, e carenza di motivazione. Afferma, innanzi tutto, l'istante che la condanna non avrebbe dovuto essere considerata ostativa poiche' patteggiata e intervenuta in un momento precedente l'entrata in vigore della legge n. 102/2009; e, da ultimo, che l'Amministrazione non ha considerato che il deducente vive e lavora in Italia da diversi anni; che la condanna rappresenta l'unico episodio di rilievo penale, e che il comportamento, pur oggettivamente censurabile, e' stato determinato dal momento di particolare difficolta' in cui lo stesso si era venuto a trovare a causa della mancanza di lavoro. Lavoro che successivamente ha reperito in favore della signora Cada Cappello, presso la quale ha, da allora, sempre svolto la propria attivita' e che ne ha chiesto l'emersione. 2. - L'Amministrazione, costituita, controdeduce nel merito del ricorso concludendo per la sua reiezione, siccome infondato, dato che la condanna subita e' motivo ostativo «automatico» all'emersione, rispetto al quale non sussiste alcun potere discrezionale di valutazione da parte dell'Amministrazione. 3. - Il Collegio non puo' che concordare con tale prospettazione, cosicche' il ricorso dovrebbe, allo stato, essere respinto in puntuale applicazione del dettato normativo. 3.1. - Tuttavia il Collegio Ritiene di sollevare, per le ragioni che verranno in prosieguo evidenziate, questione di legittimita' costituzionale della norma applicabile alla fattispecie (e cioe' l'art. 1-ter, comma 13, del d.l. 1° luglio 2009 n. 78, convertito - con modificazioni - in legge 3 agosto 2009 n. 102). 3.2. - La rilevanza della questione deriva dalla circostanza che, vigente la norma nella sua attuale formulazione, il ricorso dovrebbe essere rigettato. 3.3. - Quanto alla non manifesta infondatezza si osserva quanto segue. L'art. 1-ter, comma 13, per quanto qui rileva, dispone che «Non possono essere ammessi alla procedura di emersione prevista dal presente articolo i lavoratori extracomunitari: a) .... b) .... c) che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice.». Il reato per il quale il ricorrente e' stato condannato vi rientra. Tuttavia pare al Collegio che la disposizione che . inibisce la regolarizzazione dello straniero, in presenza di qualsivoglia tipologia di condanna che rientri negli artt. 380 e 381 c.p.p., senza che sia consentito all'Amministrazione di valutarne la rilevanza, in termini di pericolosita' sociale, contrasti col principio di ragionevolezza, proporzionalita' e di parita' di trattamento. Quanto al primo aspetto, si ritiene non risponda ai principi di ragionevolezza e proporzionalita' che la medesima, grave, conseguenza della non ammissione alla procedura di emersione (che, merita sottolinearlo, vale a rendere regolari soggetti che gia' vivono da tempo e lavorano nel territorio dello stato in condizioni di precarieta') colpisca, allo stesso modo, gli stranieri che hanno compiuto reati di rilevante gravita', e che generano allarme sociale, e coloro che - al pari del ricorrente - siano incorsi in una sola azione disdicevole, di scarsissimo rilievo penale, dovuta ad un oggettivo stato di bisogno e di disperazione, e che abbiano successivamente seguito un percorso di riabilitazione, o, avendo compreso il disvalore del proprio operato, abbiano in prosieguo tenuto una condotta di vita esente da mende. Ugualmente, pare violare il fondamentale principio di parita' di trattamento di cui all'art. 3 della Costituzione, riservare, con un automatismo che in piu' occasioni e' stato ritenuto costituzionalmente non corretto (sia pure con riferimento a fattispecie diverse da quella all'esame), la medesima sorte a soggetti che si sono bensi' resi colpevoli di azioni di rilevanza penale, ma profondamente, diverse per gravita' e intensita' del dolo. Pur essendo pacifico, come la Corte costituzionale ha piu' volte ribadito, che la disciplina della permanenza degli stranieri sul territorio dello Stato e' affidata alla discrezionalita' del legislatore, cui spetta il bilanciamento dei vari interessi in gioco, e' altresi' vero che tale discrezionalita' incontra il limite della ragionevolezza e proporzionalita', come riconosciuto dalla medesima Corte in numerose pronunce (sentenze n. 104 del 1969, n. 144 del 1970 e n. 62 del 1994). Il Collegio e' ben consapevole che la Corte ha dichiarato inammissibili o respinto questioni analoghe a quelle qui sollevate, ad esempio con riferimento all'automatismo che caratterizza il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno in presenza di determinati reati (stupefacenti); ma non puo' esimersi dall'osservare che in altre situazioni (si veda, ad esempio, la decisione n. 180/08) ha ritenuto di dichiarare la non fondatezza delle questioni sollevate sol perche', medio tempore, la giurisprudenza (in alcuni casi) aveva fornito un'interpretazione piu' «morbida» della norma, e, in altri, lo stesso legislatore (in applicazione di norme o principi comunitari) ne aveva mitigato il rigore con nuove disposizioni, ad esempio prevedendo che, per i soggetti entrati con ricongiungimento familiare e/o per i soggiornanti di lungo periodo, l'Amministrazione non potesse respingere l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per la sola preesistenza di una condanna, ma dovesse valutare altri ed ulteriori elementi. A contrario, si puo' quindi ritenere che, tendenzialmente, il sistema rifiuti ogni automatismo, idoneo a generare ingiustizie e disparita', perche' contrastante con i richiamati principi di parita' di trattamento e di adeguatezza. In definitiva, il Collegio - che, con separata ordinanza assunta nella Camera di Consiglio del 26 gennaio 2011, ha temporaneamente sospeso l'efficacia dell'atto impugnato sino alla prima Camera di Consiglio successiva alla restituzione degli atti relativi al presente giudizio da parte della Corte costituzionale - Ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art 1-ter, comma 13, della legge 3 agosto 2009, n. 102, nella parte in cui dispone che non possono essere ammessi alla procedura di emersione tutti coloro che hanno subito qualsiasi condanna che rientri negli artt. 380 e 381 c.p.p., senza che sia consentito all'Amministrazione che istruisce il procedimento valutare la gravita' del reato, l'allarme sociale che lo stesso ha procurato, la condotta successiva tenuta dal soggetto; in una parola, la attuale pericolosita' di colui per il quale e' chiesta la regolarizzazione, per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita' e per violazione del principio di parita' di cui all'art. 3 della Costituzione. Pertanto, a norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, il T.A.R. del - Venezia Giulia, dispone la sospensione del giudizio e la remissione della questione all'esame della Corte costituzionale.